lunedì 11 febbraio 2008

Riflessioni


La scelta fatta da Gianfranco Fini di presentarsi alle elezioni con la lista del Popolo delle Libertà e senza il simbolo di Alleanza Nazionale ha creato non pochi malumori nel partito e tra i ragazzi di Azione Giovani. Questo è il momento delle riflessioni, ecco perchè riportiamo l'intervista a Gianfranco Fini su "il giornale" e l'articolo di Marcello De Angelis, così da offrire nuovi spunti al nostro dibattito.
Roma - Presidente Fini, che cosa sarà il Popolo della libertà, un cartello elettorale o un vero e proprio partito? «Non sarà solo un cartello elettorale, guai se lo fosse. È un progetto molto più ambizioso che nasce da un accordo politico e che troverà la sua consacrazione nel momento elettorale ma dovrà necessariamente svilupparsi dopo. Del resto Berlusconi ha chiarito che coloro che saranno eletti con il Pdl faranno parte di un unico gruppo parlamentare».
Come è arrivata l’accelerazione decisiva? «L’accelerazione è nata dalla consapevolezza della condizione irripetibile in cui si trovava il centrodestra italiano. Rispetto a qualche mese fa e anche rispetto all’aspra polemica che c’era stata dopo l’annuncio di San Babila erano accadute alcune cose che avevano cambiato radicalmente lo scenario».
Ma cosa vi siete detti con Berlusconi? Qual è stata la scintilla? «A Berlusconi ho detto: ma se ci fosse la legge elettorale scaturita dal referendum, faremmo la lista unica? Berlusconi mi ha risposto di sì. A quel punto parlando ci siamo trovati d’accordo nel dire che per la prima volta poteva nascere un soggetto politico non calato dall’alto attraverso la scissione o la fusione di soggetti esistenti ma dal basso, nelle urne, per espressa volontà del corpo elettorale. E abbiamo rotto gli indugi».
Come farete a dare un’anima a questa nuova creatura? «Il Pantheon dei nostri valori è condiviso da tempo. E questo è avvenuto grazie all’esperienza di governo e attraverso i valori del Ppe. Inoltre esiste un manifesto dei valori redatto e firmato da tutti noi. Su questo si è andata a innestare la spinta proveniente dal popolo del 2 dicembre che ci ha fatto sentire indietro rispetto al sentire dell’elettorato».
Che cosa significa affrontare queste elezioni senza il simbolo di An? È preoccupato? «Innanzitutto da domani sarò impegnatissimo a spiegare al partito che cosa sta accadendo. Ma non sono preoccupato per due ragioni: le identità dei partiti non sono espresse solo dai simboli - se fosse così si tratterebbe di identità assai deboli - ma dai valori e dai principi di riferimento. E da questo punto di vista c’è una sostanziale omogeneità soprattutto con Forza Italia. Inoltre già nel ’96 e nel 2001 la maggior parte dei deputati e dei senatori vennero eletti con un simbolo che non era né quello di Forza Italia né quello di An. Senza contare il referendum che promuovemmo per l’abolizione della quota proporzionale». An verrà sciolta?«An dovrà discutere fin dalla direzione di sabato, che sarà allargata a tutti i gruppi parlamentari, della nuova strategia. E se, come mi auguro, ci sarà il via libera, nei primi mesi dell’autunno sarà indetto un congresso per sancire questa decisione e avviare la fase successiva che dovrà portare alla nascita di un vero e proprio partito».
Che cosa farà l’Udc a questo punto? «Sarebbe davvero grave se gli amici dell’Udc non comprendessero l’importanza di ciò che sta accadendo e non contribuissero a rendere il Popolo della libertà più forte e credibile nei valori e nella sua capacità di governo».
Qual è la sua previsione?«Confido nella lungimiranza di Pier Ferdinando Casini».
Perché concedete alla Lega l’uso del simbolo e all’Udc no? «La Lega ha una sua specificità legata al fatto che è presente solo in alcune aree. Il modello che mi viene facile evocare è il modello tedesco con l’alleanza strategica tra Cdu e Csu».
Dal punto di vista organizzativo che cosa accadrà? Ci sarà una sede unica? Perderemo sinonimi giornalistici come Via della Scrofa e Via dell’Umiltà? «Non bisogna avere fretta. L’importante è avere un progetto politico chiaro e vincente. Poi, per dirla con De Gaulle, l’attendenza seguirà. Fermo restando che ritengo importantissimo affinare la macchina organizzativa».
Come si fa ad esorcizzare il rischio di avere un’Armata Brancaleone, con tante sigle che confluiscono insieme? «Il semplice fatto che ci sia l’impegno di che entra a rimanere nel gruppo parlamentare unico è una garanzia contro i frazionismi. Inoltre dovrà valere la regola delle decisioni a maggioranza».
Spesso in Italia la confluenza di più partiti in un’unica formazione non è riuscita a produrre la somma delle percentuali. Questa volta che cosa accadrà? «È vero quello che lei dice ma qui siamo in presenza di uno scenario diverso perché questa non è una lista ma il progetto di un soggetto politico capace di rappresentare oltre il 40% degli italiani. È una accelerazione verso un assetto che se non è bipartitico ci va molto vicino».
Veltroni è impegnato in una difficile operazione: la rimozione del governo Prodi dalla memoria dell’opinione pubblica. Ci riuscirà? «Veltroni soffre di amnesie gravi. Presentare il suo progetto come una sorta di new deal e come nuovo un partito che ha Prodi come fondatore, come vicepresidente D’Alema e quasi tutti i ministri dell’esecutivo, oltre a Bassolino e Loiero, significa considerare scarsamente intelligenti gli italiani. Diventano ancora meno credibili quando lo sento dire che bisogna diminuire le tasse».
La preparazione delle liste sarà il primo test per il Pdl. Secondo quale criterio si procederà? «Il primo atto sarà la definizione del programma, con un particolare accento sul rilancio dell’economia, sulla legalità e la sicurezza. In parallelo inizieremo a predisporre le liste con una volontà innovativa. L’obiettivo è presentare liste credibili per qualità, capacità e serietà. Sono convinto che se riusciremo a candidare molti giovani e donne sarà la dimostrazione evidente della volontà di guardare avanti».
Mastella sarà dentro il Pdl? «Se non fosse per lui saremmo ancora alle prese con il governo Prodi. Inoltre lui già ha come riferimento i valori del Ppe. Bisognerà, però, che ci sia una ulteriore sottolineatura della necessità di rompere i ponti con la sinistra anche in molte amministrazioni locali».
E Storace? «È evidente che se Francesco dice che vuole entrare nel Pdl deve sottoscriverne i valori. E lui ha fatto notare giustamente che è uscito da An per non approdare nel Ppe. Non sarebbe comprensibile se Storace facesse parte della coalizione ma non del Pdl e lo facesse in ragione della sua diversità valoriale».
Ad aprile a Roma si voterà con cinque schede diverse e senza più i simboli dei partiti. Non teme il rischio di molti errori materiali da parte degli elettori? «Sì, anche per questo abbiamo deciso che in tutte le consultazioni ci sarà il simbolo del Pdl».
Chi sarà il candidato sindaco del centrodestra a Roma? «Se sull’altro fronte ci sarà Rutelli dobbiamo essere consapevoli che occorre un candidato di peso come possono esserlo Frattini e Giorgia Meloni. Ma potrebbe essere anche un altro che non è stato ancora fatto».
La nascita del Pdl rappresenterà per An uno strappo simile a quello di Fiuggi? «Siamo solo ai primi passi di un percorso. Ma non credo che i due eventi siano paragonabili».
È interessato a guidare il Pdl? «Sarebbe stupido parlarne. Di sicuro nessuno rimarrà disoccupato. Ci sarà spazio, gloria e fatica per tutti».

(di Marcello De Angelis) - Com’era prevedibile ricevo da ieri una telefonata ogni dieci minuti di amici che si dicono sorpresi, avviliti, sconcertati o anche solo stupiti della decisione di Fini di unire le forze con Berlusconi. Tutti dicono “la decisione di Fini”, a sottolineare che loro, quella decisione, non l’hanno presa, anche perché nessuno gli ha chiesto il parere. E sono, come in passato, disorientati, per la sempre presente paura di perdere se stessi. Frequento giornalisti che scrivono di politica da anni e so come lavorano. Li conosco di persona. Sono quasi tutti antifascisti, più o meno consapevoli, più o meno viscerali. C’è quello che ricordo dal collettivo del Tasso, l’altro del collettivo del Giulio Cesare. Un altro era del Pdup o di autonomia operaia, molti sono troppo giovani per aver preso parte alla stagione dell’odio e rimpiangono l’occasione persa e il fatto di non aver mai avuto una chiave inglese sulla quale mettere le tacche dei fascisti sprangati. Ci odiano e si fanno beffe di noi. Giocano con noi. Li sento chiacchierare e ridere, raccontandosi l’un l’altro cosa scriveranno, annunciando l’ennesimo strappo, la nuova svolta, usando parole come “abbandono”, “tradimento”, oppure le fanno dire al testimonial di loro scelta, il più anziano possibile, il più accorato, oppure una donna che ricorda i bei tempi che non torneranno, o qualcuno che vuol solo farsi pubblicità. Si dicono “vedrai domani che succede!” e ridono alle nostre spalle, perché giocano con noi come i bambini che mettono il fuoco ai formicai per guardare le povere bestioline che corrono su e giù prese dal panico. Alcuni non hanno fatto altro per dieci anni e ne godono con vero sadismo. Non scrivono sul Manifesto, ma sul Messaggero, sulla Stampa, sul Corriere della sera, su Repubblica, sull’Espresso, ma anche sul Giornale e su Panorama. Altri sono in Rai, molti lavorano a Mediaset e così ci sparano alle spalle, mentre i loro compagni ci sparano in faccia. A ben vedere scrivono sempre la stessa cosa, ci annunciano la Fine che si approssima, la nostra apocalisse dei significati, attraverso la scomparsa dei simboli, ci annunciano l’oblio. Ci annunciano ciò che auspicano da sempre e che auspicavano, frustrati e delusi, i loro fratelli maggiori, i loro genitori e in alcuni casi persino i loro nonni. La nostra estinzione sulla terra, con qualsiasi mezzo, e la cancellazione del nostro ricordo. Ma dinanzi alla nostra sopravvivenza, durata mezzo secolo malgrado tutto e malgrado tutti, all’odio s’è aggiunta l’invidia, il risentimento, perché chi ha tutte le armi per piegare alla propria volontà la verità ufficiale e la memoria collettiva, trema di terrore dinanzi a chi sopravvive solo grazie all’ostinato ricordo. E pensa: “cosa accadrebbe di me e del mio mondo, se questi cocciuti “memori di sé” avessero un giorno anche i mezzi che abbiamo noi? Cosa resterebbe di noi, dei loro nemici di sempre, se un giorno anche loro potessero avere il diritto di insegnare a scuola la loro storia, di farci dei film, di “socializzare” il loro ricordo?” E tremano e vogliono che non accada. Io non penso che un partito sia la mia storia. Penso che un partito sia un mezzo di trasporto, che si usa per fare il percorso necessario. Non potrei mai pensare che il mio sangue, i miei valori, i sogni di tutte le generazioni che mi hanno preceduto e le loro sofferenze, possano essere imprigionate in una cosa piccola e meschina come un partito. La mia casa è l’Italia e a volte nemmeno mi basta, voglio anche l’Europa e da lì voglio segnare il mondo. I miei martiri non sono morti per un partito – o per un simbolo di partito – né per una percentuale di voto, per un certo numero di seggi in più o per permettere ad uno – o a me! – di sedere su una poltrona. Chi fa appello al sangue, ai valori, alla “nostra storia” per farsene uno sgabello che lo avvicini al seggio è un miserabile infame. E purtroppo sono moltissimi, nascosti dietro parole d’ordine e simboli eterni. Basta ipocrisie, basta schizofrenie. Quando ero ragazzino c’erano quelli che per fare i nazisti giravano con la croce di ferro che avevano comprato su una bancarella a Portobello Road. Qualcuno aveva affrontato l’inferno del fronte russo per guadagnarsi quella medaglia e loro pensavano che bastassero le due sterline che avevano dato a un mercante armeno per ostentare la stessa gloria… Indossare la pelle del leone o del lupo può fare impressione ai paesani ignoranti, un lupo o un leone non ti scambia per uno dei suoi, anzi, ti riconosce e ti odia per lo scempio che fai ogni giorno della pelle di suo fratello. E ti vorrebbe uccidere. I miei morti stanno nel mio cuore e nella mia vita di tutti i giorni, non stanno seppelliti in una sede di partito. Il mio dovere non è “commemorarli”, perché le commemorazioni ti mettono in pace con te stesso e ti permettono di ricordare il tuo dovere solo una volta l’anno e fare nel resto dei giorni tutto lo schifo che ti pare. Io volevo morire per la Patria, ma non sono ancora morto. Vuol dire che la Patria da me pretende ancora qualcosa. La Patria, che è sopra ogni cosa e oggi sta morendo. La Patria che sta sopra ogni parte di essa: partiti, famiglie e individui. Sopra la Patria c’è solo Dio. Bisogna combattere per creare un mondo migliore per i propri figli o per preservare il mondo dei propri antenati? Tutt’e due. Ma bisogna capire che esistono solo il passato – che è andato via e non torna – e il futuro, che non è ancora arrivato. Il presente è un’illusione. Chi vive il passato nel presente è malato e si nega il futuro. Chi si ferma è perduto. Se avanzo seguitemi, se indietreggio sparatemi. Il fascismo non è mai ieri è sempre domani. Onorare i morti non è portare per sempre i loro corpi sulle spalle, ma dargli degna sepoltura perché siano liberi di andare oltre, nella loro corsa verso il cielo. Onorare i martiri significa arrivare lì dove loro erano diretti, non erigere una torre dove sono caduti e restarci in eterno. E per andare, più lontano e più veloce, si scende dalla diligenza per prendere il treno e giù dal treno per prendere l’aereo: i mezzi non sono sacri, lo è solo il fine. E il fine è salvare la Nazione e sconfiggere i suoi nemici. L’Italia è ancora da fare e soprattutto gli italiani. Io ho nostalgia di tutto, mi è difficile staccarmi da qualsiasi cosa. Ma le cose si muovono malgrado me e se resto fermo non servo a nulla. E una volta che mi sono preso delle responsabilità nei confronti di altro e di altri, che diritto ho a restare seduto a piangere sul passato che si allontana insieme alla gioventù e tutte le persone care che a poco a poco sono sempre di meno? Il dovere del soldato è vincere, non è morire nella battaglia disperata. Anche se a volte questo sembra più desiderabile. Il soldato deve battere il nemico, perché se invece cade, lascerà senza protezione la sua terra, la sua donna e i suoi figli e – peggio ancora – i figli degli altri – e avrà così guadagnato la gloria ma perso l’onore, perché il dovere del soldato è combattere per la Patria, non per acquisire una medaglia e l’ammirazione delle signorine. Io non posso stare un giorno senza combattere: per la Patria, per la sua salvezza e per il suo onore, che sono anche la salvezza dei miei figli e l’onore dei miei padri. Se il nemico usa i missili, io voglio i missili. Se hanno il nucleare, userò il nucleare. Chi va in giro vestito da cavaliere antico, o coperto di alamari, farà sicuramente più bella figura, ma in battaglia non serve a niente. Per sorprendere il nemico bisogna mimetizzarsi e coprirsi la faccia di fango. La vittoria, se non è solo per goderne in privato, è un dovere. Se è in gioco la sopravvivenza della Patria, la sconfitta non è un opzione accettabile. Se le cose cambiano e il mondo continua a girare e facciamo fatica a stargli dietro, possiamo e dobbiamo provare rabbia, ma non possiamo frignare e dire “basta, non gioco più”. Chi diserta perché il suo esercito ha modificato l’uniforme, non può poi andare a dire a quelli che continuano a combattere che il vero eroe è lui…

3 commenti:

Anonimo ha detto...

Quindi con estrema delusione ci sembra di capire che anche il camerata De Angelis, nonostante gli eufemismi e le allegorie "belliche", si stia lentamente preparando a divenire un Berluscones ?

siamo davvero alla frutta...
mi state davvero convincendo a votare per Storace

Gioventù Identitaria SMCV

Anonimo ha detto...

Ad un De Angelis che parla per immagini vivifiche, di uniformi cambiate, di avanzare e di seguirlo la risposta definitiva, concreta, esauriente, "squarciavesti" la dà lo stesso fini (utilizzo il minuscolo non a caso, metafora di uomo piccolo per la nostra storia) nell'intervista...

"E da questo punto di vista c’è una sostanziale omogeneità soprattutto con Forza Italia"

Non è questione di uniforme, non è questione di partito o simboli...DE ANGELIS dimentichi le idee, i valori, gli ideali...con i massoni, gli atlantisti, i capitalisti, gli ex-socialisti non c'e' alcun legame ideale, ma solo materiale...I nostri morti non sono morti per vederci assoggettare a quelle forze che hanno seppellito i loro sogni ed i loro ideali...e c'e' ancora chi crede che il vero pericolo per noi venga da sinistra...guardiamo in faccia la realtà: siamo un partito credibile? intendo un partito di desta credibile? e' nel ppe che difendiamo le tradizioni? e' nel ppe che gridiamo la nostra diversita' dal pensiero cattolico perbenista che sempre abbiamo combattuto? I nostri morti non morirono certamente per vedere i loro nipoti spirituali presentarsi in lista con Cicchitto, Bondi, Schifani, Carfagna...

"IN UN MONDO FATTO DI MENZOGNA DIRE LA VERITA' E' L'ATTO PIU' RIVOLUZIONARIO" ORWELL


SALUTI

Florian Geyer


PS: A CHI DICE DI ESSERSI CONVINTO A VOTARE STORACE, AVENDO ANCHE CAPITO CHI SEI, TI PREGO SOLO DI NON FIRMARTI CON SIGLE CHE NON TI APPARTENGONO PERCHE' LA TUA STORIA POLITICA E' FATTA D'ALTRO, CERTAMENTE NON DI ONORE E SENZO DI APPARTENZA, MA DI VILTA' E TRADIMENTO...RIBADENDO CHE IL PRIMO INTERVENTO A FIRMA "GIOVENTU' IDENTITARIA" E' OPERA MIA ED AVENDO INTENZIONE DI NON RICHIAMARE TENTATIVI MAL RIUSCITI DEL PASSATO EVITERO' DI UTILIZZARE TALE NOME IN FUTURO...UN LUPO E' TALE NON PER NOME MA PER AZIONI.

Anonimo ha detto...

BEH A QNT PARE IL NOSTRO ILLUSTRE LEADER HA PRESO LA DECISIONE AGENDO COME UN LUPO SOLITARIO...MA A QUESTO PUNTO IL SUO BRANCO LO SEGUIRA?
IO SONO INDIGNATO PER QUESTA SCELTA MA CREDO IN IDEALI KE PURTROPPO NN POTRANNO PIU ESSERCI...SAPETE A KE MI RIFERISCO..UN SALUTO CORDIALE
BY PAULU